Cibo per fate

Questa storia inizia con “c’era una volta…”. Sì, perché quando una storia si perde nel mito a volte si trasforma in fiaba da raccontare e da tramandare. C’era una volta una gentile e bella fanciulla di nome Marziella che offrì ad una fata una “pizzella”. La fata, soddisfatta del caldo e soffice pasto, volle ringraziare la fanciulla, facendole uscire dalla bocca rose profumate ed odorosi gelsomini e trasformandole ciocche di capelli in perle e rubini. Marziella aveva una cugina brutta e malefica, di nome Puccia. Poiché Puccia aveva negato alla fata il piacere di gustare una “pizzella”, la fata la punì facendola schiumare dalla bocca ed infestandole i capelli di pidocchi.

Questa novella, che ha come protagonista la pizza, è contenuta nel capolavoro di Giambattista Basile, “Lo cunto de li cunti” (1634-36) e ci ricorda come già nel Seicento la pizza era considerata cibo per fate.

In realtà più che di pizze dovremmo parlare di pizzette fritte, come le famose paste cresciute che arricchiscono la nostra frittura all’italiana, che si ispira ad un’antica e genuina ricetta della tradizione partenopea. Ne riporta una variante anche Ippolito Cavalcanti (nato ad Afragola nel 1787, morto a Napoli nel 1859) nella sua opera di ampio successo “Cucina teorico-pratica ovvero il pranzo periodico di otto piatti al giorno”. Così descrive la ricetta delle “pizzelle fritte di pasta cresciuta e ‘mbuttunate (imbottite, ndr) di alici”: «Prendi due rotoli di pasta di pane cresciuta, mettici due misurini d’olio finissimo, un po’ di sale e pepe e stendila con la forza del polso quanto più puoi. Mettili a crescere un’altra volta: quando vedi che ha fatto le crepe di lievitazione, la lavori di nuovo, la sbatti come si fa con lo sfoglio alla francese. Ne ricavi varie porzioni tutte uguali e le modelli con la mano, fino a farle diventare ben rotonde. Al centro vi metti molte alici grosse, private della coda e delle spine, già marinate con olio, sale e pepe. Poi, dopo aver ricoperto una porzione con un altro strato di pasta che deve essere stretto tutt’intorno, la metti a friggere». Et voilà, ecco l’antica ricetta delle paste cresciute con alici che ancora oggi imbandiscono le tavole dei napoletani durante il cenone della vigilia di Natale.

Esiste anche la variante dolce. Nel “Libro di cucina del secolo XIV” Ludovico Frati descrive la ricetta delle frittelle dell’imperatore Manfredi: «prendi dell’albume d’uovo e delle fette di formaggio fresco, schiacciale insieme all’albume e mescola il tutto con un po’ di farina a cui aggiungerai dei pinoli. Prendi una padella con della sugna e, quando questa bolle, puoi fare le frittelle. Spolverale con zucchero e conservale al caldo».  

Alimento semplice ed appagante, la pasta cresciuta ben si sposa agli ingredienti a cui si intende abbinarlo. È questo il segreto di una ricetta evergreen, ideale per tutte le stagioni: ottima di inverno a scaldare lo stomaco, perfetta d’estate ad accompagnare una fresca birra, meglio se artigianale.  

Germana Grasso

 


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